LA CHIESA ANTICA
Sul pavimento della Chiesa antica, posta vicino alla Canonica e dotata di campanile, vi è posta la data del 1873. In uso fino al 1967, oggi è adibita a spazio per gli incontri parrocchiali.
LA CHIESA PARROCCHIALE
Mons. Fioravante Indri iniziò l’opera di costruzione della nuova chiesa parrocchiale di cui ancora molti anziani si ricordano che quand’erano piccoli andavano a vendere uova per poter raccogliere fondi per il nuovo edificio. Su progetto dell’ing. Leo Girolami di Fanna, la chiesa, alta 16 metri, ha un’unica navata e un presbiterio rialzato con abside cieco. Ha anche due altari laterali dedicati alla Madonna e al Sacro Cuore di Gesù. su proposta di don Tarcisio Cristante l’abside fu arricchito di un meraviglioso mosaico del maestro Gregorini di Venezia, raffigurante un giudizio universale con un Gesù risorto non seduto in treno, ma che cammina venendo incontro ai fedeli per essere il pastore del gregge.
IL MOSAICO
Il Signore Gesù Cristo crocifisso-risorto, veniente, giudice.
Il mosaico di Corva offre il grande messaggio cristiano della redenzione per tutti gli uomini. È un’opera d’arte che porta un contenuto teologico straordinario che merita essere messo in rilievo. Ci sono almeno tre soggetti che campeggiano il mosaico: il Cristo veniente; gli angeli che circondano il Cristo e i beati e i dannati a destra e a sinistra del Signore Risorto. Della figura di Cristo merita mettere in rilievo almeno tre aspetti fondamentali: colui che è rappresentato è il Cristo crocifisso-risorto che viene incontro ai fedeli con i segni della passione, ma anche con la forza della sua risurrezione. Questo è il mistero della Pasqua che sta al centro dell’anno liturgico ed è il senso più profondo della vita cristiana. Essere discepoli di Gesù significa conoscere lui crocifisso e risorto e noi seguire lui sulla strada della croce per conoscere la sua risurrezione (cf. Filippesi 3). Non potremmo conoscere nulla del mistero di Gesù e del mistero di Dio se non attraverso la sua Pasqua, che ci mostra quanto egli ha patito per noi, quanta debolezza ha sopportato e quanta forza di vita, nella risurrezione, egli ci ha consegnato con il suo Santo Spirito.
La Pasqua: compimento dell’incarnazione.
La figura di Gesù si presenta in piedi con le mani, i piedi e il costato bucati, come ci racconta l’episodio di Tommaso che mette il suo dito nel posto dei chiodi (cfr. Gv 20). Gesù è ferito, ma è in piedi, cammina. Il libro dell’Apocalisse rappresenta la realtà della Pasqua di Cristo con l’immagine di un Agnello ritto in piedi quasi sgozzato (Ap 5). I segni della morte subita sono reali, ma reale è anche la forza di vita della risurrezione che trasfigura e trasforma i segni di morte. Sottolineare la realtà della morte di Gesù non è frutto di un gusto macabro, ma una professione di fede nelle verità della sua incarnazione: egli è stato vero uomo, come noi, in carne ed ossa, ha sofferto veramente, è morto veramente. È sempre rischioso lasciare che nella nostra mente passi l’idea che Gesù fosse solo apparentemente uomo, ma in realtà era un semi-dio o un supereroe capace di sfuggire al male e alla morte. Alcuni infatti (i docetisti), pur ritenendo Gesù vero Dio, non accettarono di riconoscerlo anche vero uomo, come noi e dissero che Dio non poteva essere uno di noi, poiché quello che si vedeva di lui era solo apparenza. Vedere i segni della passione ci ricorda che egli ha patito veramente, perché veramente ha vissuto da uomo ed è veramente nato uomo.
La Pasqua: passaggio dalla morte alla vita, l’esodo.
Soffermiamoci ancora sulla figura di Gesù, in modo particolare sul senso del suo presentarsi a noi come crocifisso-risorto. Se i segni della passione indicano le verità della sua incarnazione – egli è stato vero uomo come noi, perché è nato uno di noi – quegli stessi segni ricordano anche la morte subita. Egli non è morto di vecchiaia o di freddo, né per una malattia o a causa di un incidente. Egli è morto come un condannato, come un malfattore. La morte in croce infatti era la morte per i ladri e i traditori dell’Impero romano. Nessuno dei molti crocifissi di ieri e di oggi è tornato dai morti. Gesù invece ha voluto farsi vedere dalla Maddalena e dai suoi discepoli vivo ed essi, pur nella fatica di riconoscerlo nella gloria del suo corpo, lo hanno abbracciato e toccato proprio in quelle ferite che continua a portare con sé. Quelle ferite ci ricordano che solo Lui, il Figlio di Dio fatto uomo, ha attraversato la morte senza lasciarsi distruggere dalla morte. Anzi, come dice Efrem il Siro (IV sec.), la morte voleva calpestarlo, ma egli l’ha calpestata come una strada riducendola a polvere. Le ferite ricordano continuamente il suo passaggio dalla morte alla vita, e soprattutto la sua vita vittoriosa nella morte. Non ha altra sorgente la speranza cristiana se non in questa Pasqua di Gesù, il vincitore. Nessuna vera vittoria umana è tale se non assume i tratti della vittoria di Gesù: non oltre morte e non senza la morte, ma nella morte continuare a portare vita. Solo così si compie l’esodo, l’uscita dalla schiavitù per imparare ad essere servi della vita che non muore.
La Pasqua: passione di Gesù per i nostri peccati.
I segni delle ferite di Gesù, come è già stato detto, ricordano la incarnazione del Signore – è stato vero uomo – e ricordano anche la vera passione: è morto veramente di morte violenta, ucciso dalla cattiveria e della stupidità degli uomini. San Paolo, il primo scrittore cristiano, esprime il valore della passione con l’espressione: egli è morto per i nostri peccati (cfr. Rm 4,25). L’espressione può essere intesa sia come un essere morto a causa dei peccati, cioè i peccati di quelli che lo hanno ucciso, ma anche i peccati di tutti gli uomini; come se la morte violenta di Gesù avesse potuto, come una calamita, attirare su di sé tutti peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Non è la morte violenta e terribile che Gesù ha subito ad aver fatto della sua morte un’espiazione dei peccati, ma è il modo con il quale Gesù ha voluto affrontare la morte che ci permette di dire che quel suo morire così ha portato perdono a tutti. Non potremmo mai capire nulla del perdono di Dio e nemmeno della forza del peccato se non ci confrontassimo con la morte in croce di Cristo. La sua morte in croce è un ricordo perenne delle possibili conseguenze estreme di ogni piccolo peccato. Ogni peccato, di pensieri, parole, opere e omissioni, ha come ultimo effetto la morte dell’innocente. Il perdono di Dio, invece, che ci raggiunge dall’alto della croce, ci ricorda sempre che il suo amore arriva ovunque ed è capace di risanare ogni ignoranza nel bene. La storia dei due ladroni ci istruisce: anche in croce, pur malfattori e peccatori, si può trovare perdono e salvezza se si guarda Gesù con gli occhi della fede. In croce, però, come il ladrone non pentito, si può rimanere duri e resistenti ad ogni cenno della tenerezza di Dio. Dunque quando noi guardiamo Gesù e fissiamo lo sguardo sulle sue ferite ci ricordiamo sempre che egli è morto per nostri peccati. Ci ricordiamo dei nostri peccati che posso uccidere l’innocente (le guerre di oggi ne sono la chiara testimonianza). Le ferite di Gesù però ci ricordano anche che Dio raggiunge gli uomini nel punto più basso della loro esistenza, anche nella morte disperata.
Il Risorto viene a giudicare.
L’ultimo versetto del vangelo di questa domenica è la parola che vediamo rappresentata dal nostro mosaico: «il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni». Il Gesù che cammina è il Crocifisso-Risorto che viene in mezzo al suo popolo per giudicare a rendere a ciascuno secondo le sue azioni. E poiché le azioni degli uomini sono alcune buone altre cattive, ecco che coloro che hanno fatto azioni buone saranno chiamati beati, mentre coloro che avranno abbruttito la loro vita con azioni cattive andranno lontano dalla vita, verso l’ombra e la tristezza. È importante il criterio che Gesù esprime: «a ciascuno secondo le sue azioni». Non dice: secondo le intenzioni, o la buona volontà, o la filosofia di questo o di quello. “Azioni” vuol dire vita concreta, fatti che si compiono, tempo speso per il bene o per il male, per il vuoto. Le azioni, certo, nascono dai pensieri, ma i pensieri non hanno potere di trascinare l’uomo al male finché non si traducono in azioni. Sono le azioni che manifestano quello che portiamo dentro. Il Signore conosce il cuore, la mente, la volontà e le opere di ciascuno di noi e sa guardare tutto con misericordia. La sua misericordia, tuttavia, non deve diventare una scusante alle nostre pigrizie o alle nostre cattiverie, perché lui – che lo vogliamo o no – darà a ciascuno secondo le sue azioni. Il nostro mosaico ci ricorda che essere dannati e beati sono vie possibili sempre per ciascuno, a seconda delle azioni che compiamo.
La Pasqua: dono dello Spirito di Gesù a tutti i credenti.
Ci sono molti colori nel mosaico, ma uno in modo particolare, anche se non è predominante, percorre tutto il mosaico quasi tenendolo unito come un filo rosso. Si tratta proprio del colore rosse che esce dalla persona di Gesù e che irradiandosi cambia la sua tonalità lungo tutta la parete. Il rosso è il segno dello Spirito Santo, infatti è il colore liturgico della Pentecoste e anche il color oche viene usato per le feste degli apostoli e dei martiri, di coloro cioè che hanno versato il loro sangue per testimoniare la fede in Gesù. Nessuno può dare la vita come l’ha data Gesù se non possiede lo Spirito di Gesù. ecco perché il rosso è segno sia del sangue versato come testimonianza, sia dello Spirito Santo che educa alla testimonianza. È anche il segno della comunità: coloro che credono sono coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Gesù per imitare Gesù.
Gesù veniente: nell’incarnazione.
«Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto
9 di fare la tua volontà: (Sal 40,8-9)». Questa frase tratta dal Sal 40 viene ripresa anche dall’autore della Lettera agli Ebrei (cf. Eb 10,9), lettera che vuole descrivere il mistero del Figlio di Dio che decide di farsi uomo per essere solidale in tutto con gli uomini. «Ecco, io vengo» sono parole che indicano disponibilità, prontezza, servizio, coraggio, audacia. Il Figlio di Dio, la seconda persona della SS. Trinità, si è offerto liberamente per venire in mezzo a noi e manifestare il volto umano di Dio, per dire con al sua presenza che Dio sempre è pronto a venire incontro agli uomini. Non c’è costrizione o necessità nelle scelte di Dio, ma libero movimento di andare incontro. Non con mezzi altisonanti e spettacolari, ma nel modo umano di chi vuole condividere un cammino insieme. Nel mosaico Gesù che cammina ci ricorda questo ‘venire’ di Gesù, la sua disponibilità a venire incontro, a farsi uomo, il suo coraggio di incontrare anche in noi il nostro peccato e anche il rifiuto di alcuni. Accogliere il Figlio di Dio che si fa uomo significa, per il credente, accettare la sfida di vedere che il Cristo viene ancora incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo (prefazio dell’Avvento).
Gesù veniente: nella sua Parola
Avvicinandosi l’estate vengono un po’ meno le attività parrocchiali e così resta un po’ di spazio nel bollettino per riprendere qualche suggestione che nasce guardando il nostro mosaico. Nelle puntate scorse ho messo in evidenza il mistero della Pasqua. Merita ora soffermarsi su un aspetto altrettanto importante e assai nuovo della raffigurazione che abbiamo nella nostra Chiesa. Si tratta di Gesù veniente: il Risorto è raffigurato come uno che viene incontro a noi, che cammina con noi e in mezzo a noi. È forse questa uno degli aspetti più nuovi dell’opera che abbiamo: non è Gesù seduto in trono, giudice e signore dell’universo, ma è un Gesù in piedi che cammina e viene incontro alle persone.
Vi è uno stretto legame tra la rappresentazione musiva e la celebrazione dei sacramenti. Come viene incontro a noi Gesù? In ogni momento di preghiera che si possa dire cristiano c’è sempre l’ascolto della Parola di Dio attraverso la lettura di un brano dell’Antico o del Nuovo Testamento. Non dovrebbe mai mancare qualche riga del vangelo quando ci mettiamo a pregare. Perché? Perché quando apriamo la Bibbia e ci mettiamo a leggerla da credenti, in quella parola c’è Gesù che parla e viene incontro a noi attraverso parole umane che ci fanno bene e ci aiutano ad amare lui e i fratelli, ci aiutano cioè a realizzare la vocazione alla quale siamo chiamati che è quella di essere persone capaci di amare Dio e il prossimo. Gesù ha consegnato la sua presenza a delle parole che sono state messe per iscritto nella Sacra Scrittura e noi, ogni volta che le leggiamo, possiamo incontrare colui che san Giovanni chiama la Parola fatta carne. Gesù viene incontro ad ogni uomo e in ogni tempo innanzitutto nella sua Parola che, se ascoltata, sa esser un buon seme che porta il suo frutto di pace.
Gesù veniente: nei S. Sacramenti
Gesù veniente. Gesù viene incontro ai noi nella sua parola, la parola contenuta nella Sacra Scrittura e anche la parola della storia. Siamo chiamati ad ascoltare la Sacra Scrittura con atteggiamento credente e disponibile, ma è altrettanto vero che siamo chiamati a conoscere la storia personale e comunitaria per accorgerci di come e cosa il Signore ci stia dicendo. Il Signore, però, non viene incontro a noi solo nella sua parola, ma anche nei santi sacramenti della Chiesa. Infatti i sacramenti (battesimo, confermazione, eucaristia, riconciliazione, unzione, matrimonio e ordine sacro) non sono dei riti che facciamo noi, ma sono segni efficaci, fatti di parole e gesti, che ricordano e rendono attuali le parole e i gesti di Gesù. Il Signore stesso ha assicurato che chi porterà la sua parola nel suo nome e chi avrà fatto un gesto di carità nel suo nome è come se lo avesse fatto lui. I sacramenti allora sono segni della presenza di Gesù con i quali il Signore intende venire incontro a noi per parlarci, per toccarci, per proteggerci, per liberarci dal male, per nutrirci e per sostenerci nell’impegno dell’amore. Ecco perché il mosaico rappresenta Gesù risorto che cammina e viene incontro a noi, perché la comunità cristiana che si raduna per celebrare l’eucaristia e ogni altro sacramento abbia sempre davanti agli occhi questa realtà essenziale di ogni sacramento: è Gesù che viene incontro, che ci chiama e ci dona il suo aiuto e la sua grazia.
Nessuno, che si dice cristiano, può pensare di poter vivere senza l’aiuto di Gesù, nostro fratello e amico, che conosce le nostre necessità. Forse abbiamo bisogno di aiutarci, tutti insieme, a far sì che le nostre celebrazioni esprimano di più la realtà di Gesù che viene incontro a noi e che vuole nutrire tutti e liberare tutti dal male.
Gesù veniente: nella vita di grazia e di carità
Gesù veniente: nella vita di grazia e di carità. Tra i vari aspetti che possono essere enumerati circa l’identità di Gesù come di colui che viene incontro agli uomini, abbiamo già sottolineato come egli non solo è venuto nell’incarnazione, divenendo uomo come noi, ma egli continua a venire incontro a noi attraverso la sua Parola e attraverso i santi sacramenti che la Chiesa celebra nel suo nome. La storia della Chiesa, però, ci insegna anche che l’ascolto della Parola e la celebrazione fruttuosa dei sacramenti dà dei risultati concreti e visibili nei gesti di carità che siamo chiamati a vivere nella semplicità della vita quotidiana.
Non ci sarebbero santi, conosciuti e sconosciuti, senza una vita di grazia e di carità che essi hanno saputo vivere quotidianamente. I santi non sono supereroi o gente straordinaria; sono gente come noi che però ha saputo accogliere con ampia disponibilità il dono di Gesù che viene incontro agli uomini, cercando di rispondere a questo dono con una vita di grazia e di carità. Nessuno diventa santo senza sacramenti e senza ascolto della Parola di Dio, così come nessuno diventa santo senza compiere la carità che il Signore ispira. I santi, dunque, non hanno avuto compassione dei poveri e degli ammalati per un senso di filantropia umana che prima o poi stanca, ma hanno obbedito a Gesù che ha detto: “ogni volta che farete queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me”.
Dunque in ogni gesto di carità che si compie nel suo nome, Gesù viene incontro a noi, si rende presente, dà forza a chi compie la carità, solleva chi riceva la carità. E quando Gesù si rende presente la storia cambia, il mondo diventa migliore perché gli uomini scoprono la loro vera vocazione, che è quella di essere creatura fatte per amare. Con Gesù presente la violenza cessa, il male perde il suo vigore e il peccato e la morte vengono sconfitti.
Guardando al mosaico possiamo pregare dicendo: Vieni Signore! Vieni a darmi il tuo spirito di carità perché nella mia vita semplice possa renderti presente con l’amore che riesco a dare ai fratelli e alle sorelle. E quando incontriamo un fratello o una sorella in necessità preghiamo: Vieni
Signore! Vieni tu a darmi la forza di amare e di obbedire a te per amore di te.
Gesù veniente: nella vita della Chiesa con istituzioni e carismi.
La realtà di Cristo che viene incontro agli uomini nella sua Chiesa avviene per gli uomini e con gli uomini. Con l’incarnazione il Figlio di Dio ha scelto di assumere le strutture umane come luogo per manifestare la sua potenza di vita. Così che i talenti che ognuno ha con sé e le necessarie strutture sociali che servono per il buon vivere dell’uomo diventano esse stesse portatrici di bene. Conosciamo bene il male istituzionalizzato: la mafia, la corruzione, la vendita di armi, e ogni altro genere di azione che distrugge la dignità dell’uomo necessita di una struttura e di un’organizzazione che pianifichi il male. Al male piace lo spirito del controllo e della pianificazione. Né sono un esempio chiaro i campi di concentramento dei lager nazisti. Lo spirito di controllo può dare alla testa, come un bicchiere di gin. Se la Chiesa ha una sua organizzazione e una sua struttura, una gerarchia è perché essa, volendo seguire il suo Signore sulle strade del bene, desidera organizzare il bene, distribuirlo nel modo più ampio possibile. Non vuole pianificare e controllare, ma desidera che le necessità degli uomini trovino una risposta. Allora il male non sta nell’avere proprietà, edifici, organizzazioni, ma come li si usa. Adoperiamoci perché anche nella nostre comunità possiamo vivere i talenti di ciascuno e anche la necessaria organizzazione che ogni vita sociale richiede come un modo con il quale accogliamo il Signore che viene a dare la vita e a beneficare tutti.
Gesù giudice: escatologico
Una delle caratteristiche più innovative del nostro mosaico, rispetto all’iconografia bizantina classica, è la rappresentazione di Gesù, non seduto su un trono pronto a giudicare tutte le genti, ma il Risorto che cammina con il segno della croce - il segno che ha vinto il mondo - per venire incontro a tutta l’umanità portando la sua salvezza. Gesù risorto fu riconosciuto fin dai primi cristiani come colui che verrà a giudicare i vivi e i morti. Così infatti continuiamo a dire nel Credo ogni domenica. Gesù quindi non è solo il Figlio di Dio, ma, risorgendo dai morti, si è mostrato a noi come colui che giudicherà ogni uomo in base alle sue opere. Non per niente infatti a sinistra del Risorto ci sono i dannati ripiegati su di sé e a destra i beati che contemplano il suo volto pieno di luce. Essi non si nascondono dal suo sguardo, ma vogliono incrociare il suo sguardo pieno di amore. Dunque quando si usa la parola ‘escatologico’, un po’ insolita nel nostro linguaggio ma tanto cara alla tradizione cristiana, si intende dire che la fine di tutte le cose è nelle mani di Cristo risorto dei morti. Non solo la fine del mondo, ma anche la fine della mia vita. Cristo infatti si è fatto uomo e nostro fratello perché tutto della nostra umanità, debole e peccatrice, potesse essere toccato dalla sua presenza piena di vita. Egli è venuto per dirci che il giudizio è già compiuto in lui: Dio vuole la vita e per averla per sempre è necessario che ciascuno lo segua andandogli dietro nei sentieri che egli ha tracciato. Chi accetta di seguirlo conosce già il suo giudizio; chi lo rifiuta o lo ignora consegna se stesso al giudizio di coloro nei quali ripone fiducia. Non è un servizio da poco, allora, quello che il nostro mosaico ci insegna ogni volta che lo guardiamo: saremo giudicati certo senza parzialità; ma il giudizio che ci aspetta è quello suo e non quello nostro o degli altri o del mondo. Manca ancora molto perché ci convinciamo che davvero Lui, Cristo Signore della storia e del tempo, è il solo che sia in grado di aiutarci a riprendere i sentieri giusti per costruire un’umanità bella e buona, capace di vivere la comunione con Dio e con tutti gli uomini?
Gesù giudice: è lui il principio di discernimento del bene e del male.
Gesù giudice: è lui il principio di discernimento del bene e del male. Che cosa deve giudicare e come giudica? Fin dai primissimi tempi cristiani la fede nella risurrezione di Gesù ha portato a ritenere che il Risorto, proprio perché restituito alla vita che non muore più, abbia ricevuto da Dio l’incarico, di per sé solo di Dio, che è quello di giudicare gli uomini alla fine dei tempi. Non è certo un giudizio come nei nostri tribunali dove con molta fatica si comprende la verità dei fatti inquisiti e dove raramente c’è spazio per manifestare l’interiorità di una persona. Come insegna tutta la tradizione biblica, Dio conosce il cuore dell’uomo e, per questo, solo lui è in grado di giudicare ogni nostra azione in modo appropriato e opportuno, manifestando, grazie al suo giudizio, la bontà o la malvagità del nostro pensare, parlare e agire. Questo ci dice almeno due cose: se il giudice è lui, vuol dire che né io né alcun altro uomo sulla terra possiamo conoscere davvero le intenzioni dei cuori e quindi, come insegna Gesù nel vangelo, è bene non giudicare nessuno perché questo è compito di Dio. Se, poi, il suo compito è quello di rivelare le intenzioni dei cuori, saremo facilitati nel nostro cammino di santità e di vita se ci educhiamo un po’ al giorno a chiarire cosa portiamo dentro di noi, quali sono le intenzioni autentiche e profonde con le quali parliamo e agiamo. A volte, azioni che sembrano virtuose sono frutto di intenzioni perverse e, a volte, azioni che giudicheremmo inutili o inopportune sono guidate da intenzioni rette e sagge che sanno attendere il momento opportuno. Abituati al tutto e subito siamo diventati poco allenati a scrutare il cuore, ad avere pazienza che i pensieri e gli affetti si rivelino per quello che sono, che la rabbia che spesso monta in fretta lasci spazio alla mitezza e alla saggezza di una decisione ponderata. Dio e il suo Cristo giudicano il cuore, non per emettere condanne o assoluzioni ma per portare alla luce ogni intenzione affinché, come dice san Paolo, ciascuno riceva la sua lode da Dio. Guardare il nostro mosaico ci ricorda che ogni volta che ci accostiamo al Signore ci mettiamo di fronte al giudice che sa tutto di noi e che può aiutarci a rimanere nella luce del bene.
Gesù giudice: imitazione di lui è via di salvezza
Perché la figura di Gesù giudice, crocifisso-risorto, è al centro della scena? Non solo perché egli è il Figlio di Dio ed è il centro della creazione, ma anche perché a lui si deve guardare continuamente e costantemente. L’autore della lettera agli Ebrei esorta i cristiani di tutti i tempi e tenere lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede. E si dovrà ricordare che il ministero di Gesù inizia nella sinagoga di Nazaret dove, dopo aver ridato il rotolo di Isaia all’inserviente, l’evangelista Luca annota che gli occhi di tutti erano rivolti verso di lui. Guardare a Gesù dunque non è una semplice azione come capita nella vita quotidiana nella quale molte cose cadono sotto i nostri occhi, ma è un atto di fede che ci chiede non solo di puntare gli occhi su qualcosa, ma di concentrare la nostra attenzione affinché nulla ci sfugga di importante della persona di Gesù stesso. Infatti fa parte del cammino di ogni credente l’imparare guardare le cose importanti, non lasciandosi distrarre da ciò che può sembrare bello, ma non lo è. Credere infatti chiede anche una capacità di saper selezionare le cose importanti, di sapere che cosa davvero merita il nostro sguardo. Molte cose vediamo tutti i giorni, ma solo poche cose meritano davvero il nostro sguardo attento e affettuoso. Se la Chiesa, nella sua storia plurisecolare, continua ad additare Cristo come Signore e Maestro di tutti i popoli e continua a rappresentarlo non ai margini ma al centro di ogni scena, vuol dire che il credente, per imparare che osa guardare davvero, devo continuamente rivolgere lo sguardo a lui. È bello dunque che entrando nella nostra Chiesa questa dinamica della fede, che ci aiuta a dare la giusta importanza alle cose, ci metta sempre davanti a Gesù che viene incontro a noi come giudice, non che condanna e punisce, ma come colui che ci aiuta a giudicare e valutare le cose per quelle che sono.
Gesù giudice: l’inferno esiste eccome!
La mano sinistra di Gesù Risorto è rivolta verso il basso e ha l’indice alzato di poco quasi a indicare quei dannati che stanno sotto di lui. Cristo non guarda a loro, perché ha lo sguardo diritto davanti a sé, tuttavia, mentre incede nel suo cammino portando il suo vincastro a forma di croce come il buon pastore, con la mano indica una situazione ben precisa che è appunto quella dei dannati. La mano non è alzata come in atteggiamento di giudizio, ma è rivolta verso il basso; solo l’indice è poco alzato ad indicare di rivolgere lo sguardo verso una certa direzione. Il fedele che, entrando in Chiesa, guarda al Risorto segue con gli occhi la mano del risorto e si rende conto che la tristezza della dannazione è una condizione possibile nella quale si può cadere. Il Signore dunque ci tiene a far sapere che avvicinarsi a lui significa anche considerare che non tutti sono vicini a lui e che non tutti sono stati in grado di alzare lo sguardo al Salvatore per gridare: aiutami, salvami. Dunque il giudizio di Cristo non è una condanna come quella di un giudice umano che ha il potere di stabilire innocenza o colpevolezza dell’accusato. Piuttosto è giudice nel senso che è capace di instillare il giudizio buono in tutte le creature, se però si guarda lui. Coloro che rimangono ripiegati su di sé si allontanano da lui ed egli li indica a tutti affinché tutti coloro che guardano a lui intercedano, preghino, si diano da fare perché tutti possano gridare a Colui che tutto può. L’inferno dunque c’è, anche se mai la Chiesa si è pronunciata a dire chi ci sia finito dentro. È una condizione di possibilità ed è una condizione nella quale gli uomini, ripiegandosi su di sé, si possono mettere con l’inevitabile conseguenza di vedersi lontani da Cristo e incapaci di sostenere il suo sguardo. Se Cristo indica loro con il dito è perché anche grazie alla preghiera della Chiesa nessuno si ritrovi ripiegato su di sé, ma abbia il coraggio della fede che spinge verso il Figlio di Dio nostro maestro.